Roma, 21 aprile 753 a.C.
E come non celebrare il suo natale? Tra intrecci di miti e leggende e non senza una “sana” propaganda politica (oggi diremmo marketing o legittimazione a posteriori), la data della fondazione di Roma fu “stabilita” e fissata al 21 aprile dell’anno 753 a.C..
Marco Terenzio Varrone e Lucio Taruzio Firmano
Alla base di questa scelta come data vi furono le ipotesi e calcoli dello storico latino Marco Terenzio Varrone (in latino Marcus Terentius Varro, Rieti, 116 a.C. – Roma, 27 a.C.). Varrone in realtà aveva preso a riferimento i calcoli dell’amico Lucio Taruzio Firmano (anche Tarunzio, in latino Lucius Taruntius Firmanus), uno dei primi astrologi romani, che aveva indicato nel giorno 9 del mese di Pharmuthi la data di fondazione, giorno che corrisponderebbe al 21 aprile dell’anno 753 a.C.
Da questa data (presunta) di fondazione inizia, quindi, il trascorrere della cronologia romana e il relativo calcolo temporale all’interno di un panorama culturale millenario romano-centrico, ben simboleggiato dalla celebre locuzione latina ab Urbe condita, ovvero “dalla fondazione della Città”.
Questo natale di Roma fu celebrato sotto l’imperatore Claudio con il nome di Dies Romana o Romaia, momento celebrativo in sé probabilmente non originario ma festa derivante da altra festa più arcaica legata al mondo pastorale e nel corso del tempo coloratasi di enfasi autocelebrativa e legittimante la nuova veste imperiale di quella che era stata un’evoluzione straordinaria di un insediamento arcaico poi città. E la tradizione di Dies Romana ebbe vitalità nel corso del tempo, incurante del venir meno di quello che fu l’impero e l’epoca di quella Roma.
Basta leggere questo passo, datato 1834… dopo Cristo e con tanto anche di fondazione di Roma come riferimento di supporto
Venendo adunque più dappresso al mio proposito dirò, che ab antico solevano pur essere festeggiati i giorni, in che qual che celebre città fosse stata edificata. Tacendomi di tante altre, io rammenterò solo le feste che si facevano pel dì natale di Roma, appunto in questo giorno 21 di aprile, in che il sole entra nel celeste segno del toro. Ed erano queste feste una stessa cosa colle Palilie. Su che è a vedersi Ovidio nel IV de’Fasti, laddove ne svela l’origine; e grida tutto pieno di calor poetico: Giunse il giorno della origine di Roma. O Quirino, deh tu stesso
alle tue feste intervieni ! (1) Fu poi questo giorno appellato col nome di DIES ROMANA (2); e l’imperatore Adriano statuì che a meglio festeggiarlo fossero pur dati giuochi nel circo, come si ha da una sua medaglia. […] (1) Ovid. al luogo cit. v. 8o . e Segg. (2) Dipnosoph. L. VIII. c. 16.
(Tratto da Il Natale di Roma Celebrato dalla Pontificia Accademia Romana di Archeologia, l’anno dell’era volgare MDCCCXXXIV, dalla fondazione della Città MMDLXXXIII – Roma)
Tito Livio e Ab Urbe Condita libri CXLII
Così ne parla Tito Livio, uno degli storici più celebri dell’antichità, autore di una monumentale storia di Roma, gli Ab Urbe Condita libri CXLII
Fin dal primo momento Faustolo aveva nutrito la speranza che i bimbi allevati in casa sua fossero di sangue reale: sapeva infatti che dei neonati erano stati esposti per ordine del re, e che il tempo corrispondeva esattamente a quello in cui egli li aveva raccolti; ma non aveva voluto che la cosa fosse risaputa innanzi tempo, a meno che non se ne presentasse l’occasione o la necessità. Si presentò per prima la necessità: e così, spinto dal timore, svelò a Romolo ogni cosa? Per caso anche nell’animo di Numitore, mentre teneva Remo prigioniero, avendo egli saputo che i due fratelli erano gemelli, e considerando la loro età e la loro stessa natura, che nulla aveva di servile, s’era ridestato il ricordo dei nipoti; e indagando giunse alla stessa conclusione , sì che mancò poco ch’egli non riconoscesse Remo. Così da ogni parte si tramano insidie contro il re. Romolo, non con uno stuolo compatto di giovani – ché non aveva forze sufficienti per un attacco aperto -, ma ordinando ai pastori di affluire alla reggia per vie diverse nel momento fissato, assale il re, e Remo, venendo dalla casa di Numitore con un’altra schiera, gli dà man forte. Così trucidano il re.
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Numitore, il quale al primo allarme, spargendo la voce che i nemici avevano invaso la città ed assalito la reggia, aveva richiamato la gioventù albana sulla rocca per presidiarla e’ difenderla, quando si vide venire incontro i giovani esultanti per la strage compiuta, convocata all’istante l’assemblea, rivelò il tradimento commesso contro di lui dal fratello, la vera origine dei nipoti, com’erano stati generati, allevati e riconosciuti, e infine l’uccisione del tiranno, di cui si dichiarò responsabile. Dopo che i giovani, avanzando alla testa delle toro schiere nel mezzo dell’adunanza, ebbero salutato re lo zio, un grido unanime levatosi da tutta la moltitudine confermò al re la legittimità del titolo e del potere.
Affidato così a Numitore lo Stato albano, Romolo e Remo furono presi dal desiderio di fondare una città tra quei luoghi in cui erano stati esposti ed allevati. Sovrabbondava infatti la popolazione degli Albani e dei Latini, e ad essi per di più s’erano aggiunti i pastori sì che tutti senz’altro speravano che sarebbe stata piccola Alba, piccola Lavinio, in confronto alla città che si voleva fondare. S’insinuò poi tra queste considerazioni quel male ereditario ch’è la cupidigia di regnare, e in conseguenza di ciò nacque l’indegna contesa originata da motivi piuttosto futili. Poiché erano gemelli, e non valeva dunque come criterio risolutivo il rispetto dovuto all’età, affinché gli dèi sotto la cui protezione erano quei luoghi indicassero con segni augurali chi doveva dare il nome alla nuova città, chi dopo averla fondata doveva regnarvi, Romolo, per prendere gli auspici, occupò come luogo d’osservazione il Palatino; Remo l’Aventino.7
Si dice che a Remo per primo apparvero come segno augurale sei avvoltoi; e poiché, quando ormai l’augurio era stato annunziato, se n’erano offerti alla vista di Romolo il doppio, le rispettive schiere li avevano acclamati re entrambi: gli uni pretendevano d’aver diritto al regno per la priorità nel tempo, gli altri invece per il numero degli uccelli. Venuti quindi a parole, dalla foga della discussione furono spinti alla strage; fu allora che Remo cadde colpito nella mischia. È più diffusa la tradizione che Remo, in atto di scherno verso il fratello, abbia varcato con un salto le nuove mura; che per questo egli sia stato ucciso da Romolo infuriato, il quale, inveendo anche con le parole, avrebbe aggiunto: “Così d’ora in poi perisca chiunque altro varcherà le mie mura! “ Pertanto Romolo ebbe da solo il potere; fondata la città, essa ebbe nome dal suo fondatore.
Innanzi tutto fortificò il Palatino, dov’egli era stato allevato. Offrì sacrifici agli altri dèi secondo il rito al bano, secondo quello greco, così come erano stati istituiti da Evandro, ad Ercole. […] Questo solo, di tutti i riti forestieri, fu allora accolto da Romolo, fin da allora presago dell’immortalità che avrebbe conseguito col suo valore, e alla quale il suo fato lo destinava.8
Compiute le cerimonie sacre secondo il rito e convocato in assemblea il popolo, che non poteva fondersi in un unico organismo politico altro che con le leggi, dettò norme giuridiche; e pensando ch’esse sarebbero apparse inviolabili a quella gente rozza, a patto ch’egli stesso avesse assunto un aspetto venerando con le insegne del potere, rese più maestosa la sua figura, non solo col suo abbigliamento, ma soprattutto circondandosi di dodici littori. Alcuni ritengono ch’egli abbia scelto questo numero regolandosi su quello degli uccelli che con il loro augurio gli avevano presagito il regno; io non mi perito di seguire l’opinione di coloro i quali pensano che anche questa specie di guardie di scorta sia derivata, come pure il loro numero, dai vicini Etruschi, dai quali provennero la sedia curule e la toga pretesta , e che tante ne avessero gli Etruschi perché, dopo che il re era stato eletto in comune dai loro dodici Stati, ciascuno di questi gli assegnava un littore.
Frattanto l’Urbe si ampliava, incorporando entro la cerchia delle mura sempre nuovi territori, poiché le mura venivano costruite in vista della popolazione futura, più che in rapporto a quella che v’era allora.(Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, volume primo (libri I-II), traduzione di Mario Scandola, BUR – Biblioteca Universale Rizzoli – RCS, 1988)
Sette colli e sinecismo
Al di là di miti e leggende sulla sua fondazione, Roma non fu fondata in un preciso momento, né secondo una precisa pianificazione o gesto simbolico. Roma non ha, come genesi, nulla di più o di nuovo rispetto ad altri centri di quell’epoca nell’Italia centrale, in particolare proprio nell’area latino-sabina e non solo. Roma, infatti, non nasce da un confine tracciato sulla nuda terra ed invalicabile ma dalla progressiva agglomerazione di nuclei diffusi e che, per loro stessa espansione o per affermazione di un nucleo accentratore, trovano una loro “massa critica” finalmente “urbana” e, quindi, con una sua precisa caratterizzazione e pianificazione. Questo nucleo originario, che via via accresce per agglomerazione, sarebbe stato composto da centri latini, sabini ed etruschi, situati in quell’area tradizionalmente indicata come sette colli : uno sviluppo noto come sinecismo e che ha, oltre a Roma, chiari esempi nell’origine del primo nucleo di Atene come di Rodi.
Tuttavia, le leggende il più delle volte non sono un mero frutto di fantasia e mito del tutto avulso dal “vero” storico: infatti, proprio sul Palatino recenti scavi, dal 2015, hanno riportato alla luce i resti di un arcaico sistema di cinta difensiva, proprio intorno al colle che è secondo tradizione il luogo di nascita di Roma.
Roma si presenta nella storia colla struttura della città- stato, la πόλις o civitas, nel senso in cui questa veniva intesa nella antichità classica, come organizzazione di uomini liberi e partecipi della vita e della difesa della città, contrapposta alle grandi monarchie territoriali, a quei regna in cui tutti erano livellati come sudditi.
Ed è noto come la leggenda faccia fondare la città circa alla metà del secolo VIII av. Cr., da Romolo, latino, di stirpe reale albana, il quale avrebbe già dato alla città, pur nella forma monarchica, cioè col rex capo supremo dello stato, la sua fondamentale organizzazione: la distribuzione in tre tribù (i Ramnes, i Tities, i Luceres), i comizi curiati (organizzati cioè in trenta curie, dieci per tribù), il senato, composto di cento membri (elevato poi a trecento da Tarquinio Prisco), la distinzione tra patrizi e plebei.
Ai particolari della leggenda, sia per questi primi episodi, che per le vicende successive, più nessuno crede; ma la critica, attraverso tutti i paralleli mezzi di sussidio di cui dispone, va cercando di scovare elementi che possano accogliersi come sicuri.
Ma un problema generale si pone come preliminare: che cosa preesisteva alla città, e come si determina la storia di questa? Il problema viene trattato dagli storici, da un lato in rapporto ai popoli che abitavano la penisola italica e che hanno influito sulle prime strutture romane, dall’altro lato rispetto alla organizzazione politico sociale che ha preceduto la città. Facendo la storia del diritto, miriamo anzitutto a quest’ultimo punto.
(Giuseppe Grosso, Lezioni di Storia del Diritto Romano, V edizione riveduta ed ampliata, Giappichelli – 1965, pag. 11)
Così si inquadrava, nella storiografia, l’argomento nel 1983, da parte degli storici Augusto Camera e Renato Fabietti, sui testi del quali, pubblicati da Zanichelli, si sono formati moltissimi alle superiori degli ultimi lustri del secolo scorso
Il mito della fondazione – La tradizione antica assegnava alla fondazione di Roma una data e un giorno precisi (21 aprile 753 a.C.). Roma* avrebbe avuto un fondatore eponimo1, Romolo, figlio di un dio, Marte, e di una donna, Rea Silvia, appartenente alla dinastia regnante su Alba. Alla leggenda latina di Romolo e del suo gemello Remo se ne collegherà presto un’altra, di origine greca, volta a mettere in relazione la nuova fiorente città con la mitica figura di Enea, l’eroe giunto sulle coste del Lazio in seguito alla distruzione di Troia. La leggenda aveva origini antichissime e rifletteva i rapporti che sin dall’età del bronzo univano la penisola italica alla civiltà micenea. L’assimilazione del mito di Enea verrà attuata con un espediente assai semplice, attraverso l’identificazione dell’eroe troiano con un avo di Rea Silvia, e quindi dello stesso Romolo.
Pur tra le deformazioni del mito, la più recente critica storica riconosce la validità sostanziale della tradizione, nel senso che gli anni indicati dal racconto leggendario, intorno alla metà dell’VIII secolo, coincidono effettivamente con un salto qualitativo nelle forme degli insediamenti abitativi nel Lazio e sul suolo di Roma in particolare. Questo sviluppo si accompagna a due grandi fenomeni che interessano le regioni circostanti il Lazio: il fiorire della civiltà villanoviana in Etruria, con la premessa della creazione dei grandi centri urbani etruschi; l’inizio della colonizzazione greca in Occidente (un primo stanziamento a Ischia si data intorno al 775 a.C.), che si traduce in un immediato contatto con le popolazioni latine stanziate lungo il Tevere. In questa situazione in movimento i villaggi sparsi intorno al guado del fiume dimostrano di risentire fortemente delle trasformazioni in atto. Anche al loro interno queste comunità danno segni di evoluzione. I primi tentativi di formazione di nuclei urbani coincidono con un aumento delle capacità di produzione agricola. L’accumulo di un surplus, cioè di una quantità di prodotto non destinata alla semplice sussistenza, consente infatti la concentrazione della popolazione e lo sviluppo di quelle attività artigianali e commerciali che sono alla base della nascita dei centri urbani.Glossario
1. Eponimo, ossia «che dà il nome».Osservazioni
* II nome «Roma» è stato oggetto di numerose discussioni da parte dei glottologi; pare che esso derivasse da rumon, che è termine che indica il concetto di fiume; da questo termine sarebbe derivato anche il nome di Romolo.
I vantaggi della posizione geografica di Roma
Nel II capitolo del trattato De re publica (Dello Stato) Cicerone illustra per bocca di Scipione l’Emiliano i vantaggi della posizione geografica di Roma arcaica che avrebbero influenzato i successivi sviluppi storico-politici della città.
Avrebbe forse Romolo potuto assicurarsi i vantaggi di una città marittima, ed evitarne al tempo stesso i difetti[1], più felicemente che fondando una città sulle rive di un fiume perenne e costante, che si getta in mare con un’ampia foce? La città poteva ricevere dal mare tutto quello di cui aveva bisogno e dare, per la stessa via, ciò di cui aveva abbondanza. Per mezzo del fiume, essa non solo importava dal mare le cose necessarie alla vita, ma riceveva anche quanto era trasportato per via di terra; così che a me sembra che fin d’allora egli prevedesse che questa città sarebbe diventata un giorno la sede e il centro di un immenso impero. Nessuna città infatti, costruita in altra parte d’Italia, avrebbe potuto assurgere più facilmente a così grande potenza.
E chi mai è così poco acuto da non accorgersi quanto la città fosse protetta da difese naturali?
Per avvedutezza di Romolo e dei re che vennero dopo di lui, una cinta ininterrotta di mura la cingeva tutto intorno, delimitata da monti ardui e scoscesi: l’unico passaggio, che si apriva tra l’Esquilino e il Quirinale, era stato sbarrato da un’enorme muraglia, e la rocca poggiava su massi di pietra quasi tagliati a picco e su dirupi tanto inaccessibili da rimanere incolume e intatta anche al tempo della terribile invasione gallica. Il luogo da lui prescelto era anche ricco di acque e, sebbene la regione fosse malsana, salubre: i colli intorno sono infatti ventilati e arrecano ombra alle valli.
(da Cicerone, Dello Stato, II, 5-6, trad. di A. Resta Barrile, Bologna, Zanichelli, 1970)[1] Nei paragrafi precedenti Scipione sostiene che oltre ad essere facile preda degli invasori che giungono dal mare, le città costiere sono più esposte alla corruzione e al peggioramento dei costumi per effetto delle influenze straniere e delle ricchezze ottenute coi commerci marittimi.
(Tratto da Augusto Camera, Renato Fabietti, Elementi di storia antica,”Roma”, seconda edizione, Zanichelli, 1983, pagg. 281 e 282
Sia come sia la verità sulla fondazione di Roma, ad ogni modo, BUON COMPLEANNO A TE, ROMA!