13 gennaio 1898 ” J’Accuse ” e l’Affaire Dreyfus. Storia di uno scandalo giudiziario grottesco

J’Accuse…! Ovvero del rischiare liberamente la propria tranquillità individuale per esporsi a difesa di valori e ideali altrui e collettivi

In breve, da Wikipedia

J’Accuse…! (Io accuso…!) è il titolo dell’editoriale scritto dal giornalista e scrittore francese Émile Zola in forma di lettera aperta al Presidente della Repubblica francese Félix Faure [!!! nome completo “Francois-Felix Faure”, Nota del Redattore], e pubblicato dal giornale socialista L’Aurore il 13 gennaio 1898, con lo scopo di denunciare pubblicamente le irregolarità e le illegalità commesse nel corso del processo contro Alfred Dreyfus, al centro di uno dei più famosi affaires della storia francese.
La locuzione «j’accuse» è entrata nell’uso corrente della lingua italiana, come sostantivo, per riferirsi a un’azione di denuncia pubblica nei confronti di un sopruso o di un’ingiustizia[1]. [Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/J%27accuse]

L’evento e il suo contesto (di G. P. El Cid)

La Francia dell’affaire Dreyfus
La Francia del 1893 non è solo il caso del capitano dartiglieria Alfred Dreyfus: il paese è, infatti, pervaso da continue tensioni figlie di un nazionalismo a forte accento antisemita ma è anche intaccata socialmente dalla corruttela di una borghesia finanziaria impelagata in equivoci e distorti rapporti  con la classe politica e che sfociarono in scandali come nel 1892 con il fallimento della Società del canale di Panama.  La credibilità di un sistema e della sua classe dirigente era di nuovo messa in discussione e si andava disegnare uno scenario in cui, nel vuoto di credibilità così formatosi, trovavano spazio appoggio e vigore le rivendicazioni nazionaliste e relativi capri espiatori.
L’azione a tenaglia e di accerchiamento al sistema in corso di implosione si sviluppava sull’altro lato in un doppio filone: da un lato, in forma violenta, attentati anarchici e, dall’altro, le istanze non violente operate degli scioperi di massa della classe operaia a  rivendicare migliori condizioni sociali. La Terza Repubblica sembrava sull’orlo del baratro proprio perché implodente e cannibalizzata dal suo interno mentre appariva ormai delegittimata e in balia degli eventi che da destra e da sinistra andavano a comprimerne l’autorità. In questo scenario con vuoti di autorità e rivendicazioni sempre più forti e divergenti il caso Dreyfus è il caso per antonomasia dove si ritrovano attori economici e politici delegittimati, coscienze in molti casi ammorbate e colpevoli e in altri casi supine al ruolo di casta e incapaci di rigenerarsi e riorganizzarsi con un processo di autocritica propositiva, ed una società in gran parte in frammentazione e in piena crisi che trova in una retorica di pregiudizi gli alibi e i palliativi più immediati, vessilli sotto cui fare guscio alle proprie istanze particolari e al proprio cosmo.
Questi alibi, appunto veri e propri vessilli, permettevano a questa frastagliata prosopopea di istanze di delineare agilmente e alla spiccia delle alleanze provvisorie: incuranti di un processo minato già alle sue fondamenta da mistificazioni e falsità evidenti, ad opporsi alla sua revisione si ritrovarono uniti l’esercito e due delle tre anime della destra, quella monarchica più liberale e quella legittimista. Sul piatto, infatti, c’era lo scambio impossibile e non accettabile: per loro interesse o sensibilità su un piatto della bilancia vie era soltanto la riabilitazione di un individuo, di un singolo ufficiale per giunta ebreo e il suo destino, sull’altro piatto della bilancia vi erano di contro il prestigio dell’ esercito e l’autorità delle istituzioni. Troppo poco per barattare un tutto.
L’avversario/alleato che nessuno si aspetta, tuttavia, fece la sua improvvisa e sorprendente apparsa:  dal mondo culturale, una cosmo ben riconosciuto e delineato ma ancora di nicchia e non così diffusamente pervasivo in un ambito dialettico politico di questo peso e in un caso, nella sua immediata apparenza, così marginale persino per la cultura di un paese come la Francia, per uno scontro dove per la sensibilità del tempo e delle classi dirigenziali succitate immolando un singolo si salva, pur sempre nella sua parvenza, un sistema, Émile Zola si mette in prima linea sbaragliando gli equilibri.
Émile Zola, scrittore già assai famoso e apprezzato, rompe non solo gli schemi sui ruoli e le posizioni ma rompe anche gli schemi di comunicazione: non è solo la presa di posizione a dare incredibile forza alla sua istanza ma sono il modo, la retorica, il canale che oggi definiremmo “piano di comunicazione” che resero le sue parole dei veri e propri baluardi per Dreyfus affatto aggirabili. Émile Zola, infatti, ebbe il coraggio di esporsi in prima persona con una lettera aperta al Presidente della Repubblica Francois-Felix Faure, denunciando nominativamente gli ufficiali coinvolti nell’infame affairs perpetrato a danno di Dreyfus.

La pagina de L’Aurore con la lettera aperta dal titolo “J’Accuse…” di Émile Zola
Émile Zola divenne così il catalizzatore sul quale fecero convergenza e fronte comune gli amici del Dreyfus ma anche  tutta la Sinistra francese. Il caso divenne l’occasione di affrontare un tema di più ampio respiro: il non più soltanto individuo Dreyfus ma il cittadino Dreyfus e il simbolo che rappresentava erano l’occasione di confronto per rivendicazioni di giustizia e rispetto della persona e di affrancamento rispetto al ritorno a schemi sociali del passato. Gli schieramenti di ambo i lati si trovarono così a promuovere grandi dimostrazioni di piazza nel corso delle quali si arrivò al contatto fisico e a scontri anche violenti.

La pagina de L'Aurore con la lettera aperta dal titolo J'Accuse di Émile Zola
La pagina de L’Aurore con la lettera aperta dal titolo J’Accuse di Émile Zola

Eppure, proprio dall’affaire, dalla macchinazione intrisa di pregiudizi, ipocrisie e mistificazioni ,  la Francia prese un ulteriore slancio nel percorso  di crescita di uno spirito liberale e democratico,  di una coscienza collettiva che aveva trovato proprio nel coraggio di uno e poi tanti intellettuali e nella piena riabilitazione di Dreyfus i suoi migliori alfieri e simboli.

Cosa racconta lo storico…

Riportiamo ora quanto scritto al riguardo dallo storico Wolfgang Justin MommsenL’età dell’Imperialismo 1885-1918 in Storia Universale Feltrinelli  vol. 28, trad. Heidi Ascheri, Milano, 1970

Benché le elezioni del 1893 si risolvessero per la destra in una forte delusione, negli anni successivi la sua opposizione al «siste­ma» si inasprì in modo considerevole. Anche nel campo opposto si rafforzavano le correnti contrarie alla continuità della Terza Repubblica. Aumentava il malcontento dei lavoratori oppressi da condizioni sociali gravosissime. Il numero dei deputati sociali­sti nella Prima Camera aumentò da 12 a 50. Anche al di fuori del campo parlamentare la classe operaia si risolse a un’azione più decisa. Una serie di attentati anarchici e di accaniti scioperi di massa scossero il mondo borghese. La tensione accumulata esplose poi improvvisamente nel cosiddetto affare Dreyfus . Alla fine di settembre del 1894 il capitano francese d’artiglieria, Drevfus, un ufficiale d’origine ebrea, fu arrestato per alto tradimento, sotto l’accusa di aver trasmesso all’addetto militate, il tedesco von Schwartzkoppen, documenti segreti sull’armamento dell’artiglieria francese.  Dal momento in cui venne reso pubblico l’arresto di Dreyfus – con l’aiuto dello stato maggiore, che aveva passato le relative informazioni alla Libre Parole  di Drumont – scoppiò una incredibile campagna contro il «cartello degli Ebrei» all’interno dell società francese.
Nel tradimento di Dreyfus la destra francese, e con essa gli ambienti militari francesi, vedevano la prova concreta della presunta attività cospiratrice degli ebrei contro gli interessi nazionali della Francia. L’esercito, i cui più alti ufficiali erano ancora uomini del tempo del Second Empire e che reclutava le sue nuove leve ricorrendo quasi esclusivamente alla cooptazione, simpatizzava in particolar modo con le concezioni antisemite. La mentalità autoritaria degli ufficiali francesi era diametralmente opposta ai principi democratici del paese. Essi disprezzavano la Terza Repubblica come espressione di una borghesia finanziaria materialista e preoccupata soltanto di fare buoni affari, e anche degli ebrei, poiché all’interno della vita economica francese questi controllavano un numero elevatissimo di posizioni-chiave. L’agitazione antisemita contro il traditore ebreo Dreyfus fu legata pertanto fin dall’inizio ai problemi della costituzione politica e social della Francia.
La destra prese l’avvio del caso Dreyfus per scatenare un’offensiva pubblicistica in grande stile,  e sotto l’influenza di questa  clamorosa agitazione lo stato maggiore e il ministero della guerra si trovarono subito disposti a vedere in Dreyfus l’unico colpevole, sebbene l’accusa si basasse su elementi estremamene deboli […] Così, a fine dimostrativo, l’ufficiale fu degradato, espulso dall’esercito e, nonostante tutte le sue proteste d’innocenza, deportato nell’Isola del Diavolo.
Così questo caso si sarebbe potuto considerare concluso. Ma alcuni pochi amici del condannato erano fermamente convinti della sua innocenza e fecero di tutto per ottenere una revisione del processo, sostenuti nella loro lotta da uomini che appartenevano soprattutto agli ambienti intellettuali di sinistra, già per principio poco favorevoli all’esercito. Inoltre venivano in luce man mano nuovi elementi che facevano apparire in una luce ambigua la colpevolezza di Dryfus. Più decisiva fu, nel 1896, la scoperta, da parte del nuovo capo del controspionaggio francese, il tenente colonnello [Georges] Picquart, di nuovi documenti che provavano con assoluta certezza che non Dreyfus, ma un maggiore [Ferdinand Walsin] Esterhazy aveva avuto rapporti con Schwartzkoppen. Lo stato maggiore francese preferì però non prendere in considerazione queste nuove informazioni e lasciar che la cosa cadesse in prescrizione, sia perché Dreyfus, alla luce della campagna di stampa scatenata contro di lui, sembrava pur sempre colpevole, sia perché si voleva evitare lo scandalo che una riapertura del processo contro Dreyfus come anche una sua eventuale assoluzione avrebbe inevitabilmente significato per l’esercito. Mal interpretando la ragion di Stato, si poneva il prestigio dell’esercito al di sopra della sorte di un singolo ufficiale ebreo. Ma ad aggravare ancor più la situazione si produssero altri documenti  ugualmente falsificati, dai qauali sembrava che la colpa di Dreyfus non lasciasse ormai più adito a dubbi. Inoltre si allontanò dal suo incarico l’incomodo Picquart spedendolo nella lontana Algeria.
II piccolo gruppo dei Dreyfusards fu a lungo impotente ai fronte a questa cospirazione dello stato maggiore, che riuscì ad evitare la riapertura del processo contro Dreyfus. Tutti i tentativi di mettere in moto una revisione del processo fallirono. Le acque cominciarono a muoversi solo quando Émile Zola scosse l’opinione pubblica con una lettera aperta al presidente della Repubblica, pubblicata il 13 gennaio 1898 dalla rivista parigina L’Aurore. Lo scritto di Zola suscitò uno scalpore inaudito. L’opinione pubblica conobbe finalmente le vere ragioni che avevano portato alla condanna di Dreyfus. La nazione francese fu scossa da un’agitazione enorme. La Francia si scisse in due campi: gli avversari e i propugnatori di una revisione. Nell’atmosfera di un nazionalismo tanto acceso quanto vulnerabile, che presentava tutti i sintomi di una nevrosi di massa, la questione se ci fosse stato o no un errore giudiziario acquistava dimensioni gigantesche. L’intera destra, e con essa l’esercito e la grandissima maggioranza di coloro che avevano in mano le leve del potere, consideravano inconciliabile con l’onore dell’esercito e del paese una decisione a favore della revisione del processo. Almeno nella coscienza delle élites dominanti, in questo caso non era più in gioco solo il prestigio dell’esercito, ma anche l’autorità dello stato e la validità dell’ordine sociale esistente. Tutti i giornali di destra e del centro borghese scatenarono contro i Dreyfusards una sfrenata campagna nella quale veniva a confluire un nazionalismo sconfinato. Di contro la sinistra, che ora si schierava compatta dalla parte degli amici di Dreyfus, rimproverava al governo di voler mettere il paese alla mercé dei reazionari. Ebbero luogo grandi dimostrazioni di piazza che spesso degeneravano in risse furibonde.
In tale atmosfera alla coraggiosa iniziativa di Zola era negato per il momento qualsiasi successo. Anzi, il governo, gli ambienti militari e la magistratura ingaggiarono coi Dreyfusards una tenace battaglia, nel corso della quale non ebbero scrupolo i mettere in opera tutti i mezzi di intimidazione politica e tutti i cavilli giuridici. Pur godendo di tutta la simpatia dell’opinione pubblica, Zola fu condannato sia in prima che in seconda istanza per aver offeso l’esercito. Nel corso delle violente polemiche che si accompagnarono a questi fatti venne tuttavia in luce un numero sempre maggiore di particolari che poi indussero il ministro della guerra, Cavaignac, ad avviare da parte sua una revisione dei documenti a carico di Dreyfus. Ne risultò che un certo colonnello Henry, il successore di Picquart nello stato maggiore, aveva falsificato tali documenti. Il 30 agosto del 1898 Henry fu arrestato; l’indomani, dopo aver reso un’ampia confessione, si suicidò in carcere.
Lo scandalo era scoppiato: il capo dello stato maggiore diede le dimissioni, all’esercito furono mossi gravi appunti. Eppure nemmeno ora esso rinunciava alla sua tattica di chiudersi su se stesso come un riccio. I ministri della guerra si succedevano molto rapidamente poiché nessuno di loro, visto lo stato d’animo dell’esercito, osava andare fino in fondo. L’agitazione contro i Dreyfusards raggiunse un nuovo punto culminante nel tardo autunno del 1898: la Ligue des Patriotes organizzò dimostrazioni nazionali­stiche di piazza in grande stile. Tuttavia non si potè più impedire la revisione. Il 14 dicembre 1898 il governo Brisson diede via libera, e due mesi dono la corte di cassazione decise di accogliere la domanda della signora Dreyfus di riaprire il processo. I.’affare si avvicinò così al suo epilogo pur determinando ora una situazione rivoluzionaria. La resistenza contro la revisione opposta dalla destra e dai gruppi al governo continuava ad essere così forte che due governi caddero per non aver saputo far portare a compimento il processo dopo che era stato riaperto e ridurre alla ragione l’esercito. La morte improvvisa, alla metà del febbraio 1899, del presidente della Repubblica Paure, che aveva simpatizzato con la destra e aveva tentato di ostacolare la revisione, e la nomina a suo successore di un rappresentante del centro-sinistra, spin­sero poi all’estremo l’andamento delle cose. I boulangisti e i bonapartisti si unirono per un ultimo disperato attacco alla repubblica; un tentativo di colpo di Stato da parte della Ligue des Patriotes di Déroulède si concluse con un misero fallimento. Grandi dimostrazioni di massa inscenate dai nazionalisti, e ancora più grandi controdimostrazioni da parte degli operai davano alla situazione un aspetto piuttosto critico. Soltanto il gover­no Waldeck-Rousseau, un governo di con­centrazione nazionale formato alla fine di giugno del 1899, del quale facevano parte ad esempio due personaggi cosi diversi come il generale Gallifet e il socialista Millerand, fu in grado di ridare autorità allo Stato, autorità tanto più necessaria in quanto i Francesi erano preoccupati per la buona riuscita della grande Esposizione universa­le, prevista per l’anno 1900 a Parigi.
Ma la situazione era sempre cosi confusa che per il momento non c’era posto per una serena valutazione. Vittima di una mentalità in cui la dedizione incondizionata alle tradizioni e la subordinazione alle autorità erano strettamente legate a un nazionalismo nevrotico, la corte marziale rifiutò di nuovo, nell’estate del 1899, l’assoluzione a Dreyfus, benché nel frattempo Esterhazv, dal suo sicuro esilio a Londra, avesse ammesso la propria colpevolezza. Solo un atto di grazia del presidente della Repubblica pose fine definitivamente alla vicenda.

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