Giornata Mondiale di lotta contro l’AIDS: sappiamo di cosa stiamo parlando?

 

 

Oggi è la Giornata Mondiale di lotta all’AIDS. Il fatto che se ne parli poco dà l’idea di come questa malattia terribile stia venendo attualmente sottovalutata. Questo atteggiamento è il vero pericolo a cui stiamo andando incontro, come avevo già scritto nell’articolo sulla necessità o meno di educazione sessuale nelle scuole.
Il fatto che l’incidenza dei contagi resti stabile da anni in Europa non è un fattore positivo. Sappiamo infatti che il virus HIV, agente causale della Sindrome da Immuno Deficienza Acquisita o AIDS, si trasmette soprattutto per via sessuale o tramite contaminazione diretta con sangue infetto.
Per quanto riguarda le vie di contagio tramite sangue, è stato fatto molto. I controlli sugli emoderivati per trasfusioni si sono fatti stringenti, le regole sul controllo della sterilità per materiale chirurgico o medico sono accurate e dettagliate, e anche coloro che praticano tatuaggi o piercing hanno sviluppato una maggior attenzione alle norme igieniche.
Anche sul contagio per via verticale, ossia da madre a figlio, si è instaurato un protocollo che permette grazie a terapia retrovirale, cesareo e allattamento non con latte materno di ridurre il rischio di infezione all’1%.
La prevenzione della trasmissione per via sessuale, però, non può essere normata: è in mano al singolo. Per poter prevenire il contagio bisognerebbe sapere come avviene. Il seguente riassunto non vuole essere un trattato sul virus HIV, ma un riferimento per sapere cosa espone veramente a rischio e cosa sia invece da considerare una leggenda metropolitana.

Il virus dell’immunodeficienza umana, o HIV, è un organismo capace di integrare il suo codice genetico in quello delle cellule ospiti infettate, e di sfruttare quindi i meccanismi della cellula stessa per riprodursi. Questo lo rende difficile da combattere e particolarmente insidioso. La sua azione porta a sviluppare l’AIDS, una condizione di impoverimento delle difese naturali dell’organismo che espone il paziente infetto al rischio di contrarre malattie che di solito vengono neutralizzate da un sistema immunitario sano, e al rischio di morire per infezioni che riteniamo normalmente poco pericolose. Infatti il virus mostra predilizione per i linfociti T, Cellule del nostro sistema immunitario fondamentali nella risposta contro molti agenti patogeni e contro molti oncogeni.
Fra il contagio con HIV e il manifestarsi di sintomi ascrivibili all’AIDS, tuttavia, possono passare anni. Importante quindi è sottoporsi a test se si sa di essersi esposti a comportamenti a rischio.
I test, infatti, sono in grado di rilevare la sieropositività, ossia l’avvenuto contatto del virus HIV con l’organismo. Anche per i test, tuttavia, c’è un cosiddetto “periodo finestra”, ossia un intervallo di tempo variabile a seconda della metodica scelta durante il quale non si è ancora in grado di dare risposta certa al quesito diagnostico.
In particolare il Combo test riesce a identificare la presenza del virus già dopo un mese dall’esposizione, mentre il test ELISA necessita di un periodo di 3 mesi per poter fornire dati significativi.  Vi sono attualmente anche a disposizione dei cosiddetti test rapidi. In questo caso la rapidità è riferita al tempo che si impiega una volta effettuato il test ad avere il responso, non al periodo finestra. I test rapidi attualmente offerti nei consultori o presso gli ospedali, e persino quelli acquistabili in autonomia nelle farmacie considerano comunque un periodo finestra di 3 mesi dall’evento a rischio. Questo è il motivo per cui si viene sospesi per 3 mesi dalle donazioni di sangue se ci si è esposti a rapporti a rischio o se gli esami effettuati sul sangue prelevato dovessero risultare positivi.

Ma quali sono i comportamenti da evitare?
Il virus è stato isolato solo in sangue, liquido seminale, secreto vaginale e latte materno, pertanto sono questi i fluidi corporei il cui contatto espone a contagio. Lacrime, saliva, sudore, urine e feci non sono pericolose in alcun modo. Si può bere dal bicchiere di un sieropositivo, dormire con lui, abbracciarlo quando piange o è sudato e anche baciarlo senza correre alcun rischio. Si possono usare i bagni, i mezzi pubblici, le piscine in cui è stata una persona sieropositiva in tutta tranquillità. Bisogna anche ricordare che non basta un virus per sviluppare l’infezione: è necessario venire a contatto con una quantità di liquido abbastanza elevata da contenere la giusta carica virale. Un’altra condizione importante è che il mezzo venga a contatto con una zona mucosa o con una lesione. La nostra pelle, infatti, ci protegge dalle infezioni quando è integra, ma le mucose, genitale o orale, e le ferite, anche piccole, sono invece un terreno ideale per la diffusione del virus. Durante un rapporto sessuale il liquido spermatico e le secrezioni vaginali in quantità assolutamente sufficiente per raggiungere la giusta carica virale vengono a contatto con zone mucose permeabili all’ingresso del HIV. Tanto più la pratica è violenta, tanto è maggiore il rischio, per la possibile comparsa di ferite e lacerazioni. Le ragazze giovani sono più esposte a questo rischio per l’immaturità dell’apparato genitale, e i rapporti anali sono considerati molto a rischio per la scarsa lubrificazione naturale del tratto. Secondo quanto detto prima, anche i rapporti orali sono considerati a rischio. Il coito interrotto, la pillola contraccettiva, la spirale, il diaframma o le lavande vaginali a base di spermicidi o disinfettanti non proteggono in alcun modo. Il preservativo, maschile o femminile, è l’unica pratica contraccettiva che protegga anche dalle infezioni sessualmente trasmissibili. Andrebbe indossato prima di ogni contatto diretto con zone mucose, anche per i rapporti orali. La presenza di altre infezioni in zona genitale o orale, o l’essere già portatori di un’altra malattia sessualmente trasmissibile è un fattore di rischio importantissimo.

Ricapitolando, si è a rischio di contrarre infezione quando si viene a contatto con sangue, liquido seminale, secreto vaginale o latte materno di una persona infetta in quantità abbastanza elevate. Tuttavia non vi è modo di capire se si è contratto il virus se non facendo un test specifico.
Il test in Italia è offerto gratuitamente, e andrebbe fatto ad un mese e poi ripetuto ai 3 mesi dalla possibile data di infezione.
Quello che emerge con chiarezza dalla fotografia annuale del Centro operativo AIDS dell’Istituto superiore di sanità (Iss) è che le diagnosi sono sempre più tardive. Non solo quindi sono tornati comportamenti a rischio, ma si sottovaluta la possibilità di infezione. Prima si pone diagnosi, prima si può iniziare una cura che, sebbene non riesca ad eradicare del tutto l’HIV prolunga di molto il periodo asintomatico, rimandando la fase di AIDS conclamata.
Inoltre i soggetti vicini al contagio sono quelli con la più alta carica virale, insieme a chi ha già l’AIDS conclamata. Pertanto essere portatori del virus senza saperlo è un comportamento socialmente molto pericoloso ed irresponsabile, che espone a rischio altre persone inconsapevoli. Fare il test se si ha un sospetto è quindi una buona norma preventiva che permette in caso di contagio di curarsi ma anche un segno di rispetto verso gli altri.

Print Friendly, PDF & Email

About Hipazia Pratt

Check Also

Il moralismo, il moralista

Il moralismo, il moralista suo adepto e la morale: tutto sembra scolpito nell’eterno, nell’impossibilità plastica …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *