Aggiornamento sul diabete tipo 2: un nuovo farmaco

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Si è tenuto in questi giorni a Stoccolma il congresso dell’ European Association for the Study of Diabetes ( EASD), in cui sono stati presentati i risultati di uno studio molto atteso, lo studio EMPA-REG.
Si tratta dello studio su un nuovo farmaco ipoglicemizzante, l’ empagliflozin. Esso fa parte di una classe di nuovi ipoglicemizzanti che agiscono a livello renale, sul cotrasportatore sodio glucosio tipo 2, o SGLT2. Il rene solitamente tenta di non espellere zuccheri con le urine, e questo tipo particolare di trasportatore serve a riassorbire il glucosio che si trova nel filtrato renale. L’empaglifozin ne inibisce l’azione, favorendo l’escrezione di glucosio con le urine. Questo tipo di azione rende abbastanza remoto il rischio di ipoglicemia, e non danneggia i reni, permettendo l’uso del farmaco anche in pazienti con insufficienza renale grave. L’unico effetto collaterale degno di nota sembrava essere la maggior incidenza di infezioni del tratto urinario, probabilmente dovuto proprio all’accresciuta presenza di zuccheri nelle urine. Già gli effetti conosciuti dell’empagliflozin, quindi, lo rendevano un farmaco utile e maneggevole. width=
Lo studio in questione però ha sorpreso gli stessi ricercatori dimostrando una diminuzione della mortalità nei pazienti trattati pari addirittura al 38%. Si sa infatti come il diabete sia associato spesso a malattie  width=cardiovascolari, ipertensione e aterosclerosi. Uno degli aspetti che rendeva questo farmaco particolarmente appetibile era proprio il fatto che portasse una diminuzione del peso e della pressione sanguigna come effetti associati. Tuttavia “il farmaco abbassa la pressione di 2-3 millimetri di mercurio  –  ragiona Giorgio Sesti, presidente eletto SID (società italiana diabetologia) e ordinario di Medicina Interna all’università Magna Grecia di Catanzaro  –  riduce l’emoglobina glicata dello 0,4 per cento, fa perdere 2-3 chili”. Non abbastanza per giustificare una diminuzione del 38% del rischio di morte e una diminuzione del 35% del rischio di ricovero per cause cardiovascolari, più una riduzione del 32% del rischio di morte per altre cause. Sembrano effetti quasi miracolosi, che potrebbero spingere questo farmaco a diventare il più usato nella cura del diabete tipo 2. Sull’accuratezza dello studio, che ha osservato un totale di 7020 pazienti arruolati in tutti i continenti per un tempo complessivo di circa 3 anni, non sembrano esserci dubbi rilevanti. E’ infatti vero che la ricerca è stata promossa e supportata finanziariamente dalle case farmaceutiche che producono il farmaco, Eli Lilly e Boehringer-Ingelheim, ma sono state previste commissioni esterne di valutazione che supervisionassero il lavoro a tappe fisse e potessero avere accesso ai dati in qualsiasi momento.  width=
Alla luce di questi risultati, molti medici stanno chiedendo una revisione delle linee guida nella cura del diabete, soprattutto per pazienti che, come i volontari arruolati per lo studio, presentino un alto rischio per eventi cardiovascolari.
In Italia l’empagliflozin ha ottenuto l’ autorizzazione all’immissione in commercio da parte della Commissione Europea per la cura del diabete mellito tipo 2 nel maggio 2014, ed è prescrivibile in monosomministrazione giornaliera da 10 o da 25 mg come monoterapia o associato a metformina e/o a insulina in pazienti adulti. Con determina del 3 aprile 2015 l’AIFA l’ha reso rimborsabile a seguito di diagnosi specialistica e piano terapeutico semestrale redatto da medico specialista in internistica, endocrinologia o geriatria. Attualmente quindi non è considerato un farmaco di prima linea.

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