(G P El Cid, 17 giugno 2015)
Si dice che l’Unione europea (Ue) abbia una storia meravigliosa figlia di padri fondatori di indubbio valore e coraggio, e io lo credo e senza ironia. Lo dimostra la sua storia[1], doppiamente sua perché storia di sé scritta da sé. Questa “autobiografia” (che vi invito a leggere) asciutta ma precisa senza vere concessioni alla retorica, tuttavia, questa autobiografia e l’animo ispiratore così lì descritto denunciano i limiti già di genesi.
Sono fortemente europeista; sono uno del 1973, sono figlio concepito e pervaso dal liquido amniotico europeo e mi ritrovo in tutti i principi ispiratori e cardine. Sono cresciuto col crescere di questa entità e ho modificato le mie forme mentali seguendo la sua evoluzione, a volte non d’accordo ma spesso sì. Ma è inutile nascondere anche un altro aspetto, che segreto non è: quello che è oggi l’Unione europea deriva da un tronco di evoluzione a forte radice economica oltre alla linfa programmatica e di principi; forse, in ultima istanza, nasce anche come blocco cuscinetto militare-politico: se non un vero tronco gemello, diciamo un valido palo di supporto. Non voglio annoiare o dilungarmi sul punto ma è nella stessa su menzionata “autobiografia” dell’Ue e da quei trattati degli anni ’50 che l’elemento economico emerge chiaramente come elemento principe di coagulo; legittimo quanto, a dire il vero, anche tanto assorbente e caratterizzante. Andando oltre gli obiettivi e le ragioni di fondo, soffermiamoci anche sulla geografia: soffermiamoci sul grembo che ha dato vita a ciò che è oggi l’Unione europea.
Un accordo centro-europeo prima che eurocentrico
Cosa voglio dire? Unendo quanto letto or ora e quanto nella titolazione appena sopra, l’elemento geografico ha marcato il dna di questa visione comunitaria, diventata molto più politica solo poi in seguito.
L’Ue è nata su un forte blocco geografico centro-europeo o chiamiamolo continentale e non certo marittimo.
Certo l’Italia prima di tutto ma la stessa Francia hanno ben parte nel Mediterraneo, ma come non negare la diversità di percezione di questo mare nelle due nazioni, oltre che il diverso impatto economico oltre che sociale del Mar Mediterraneo. Basterebbe una ripartizione per lunghezza di coste dei confini di quella parte di Europa unita per dire che di fondo il confine mediterraneo, il confine sud era, in quel momento storico dei primi passi degli anni ’50 e fino a tardi, solo italiano.
Si contavano 6 paesi fondatori (della allora CEE, Comunità economica europea, poi divenuta Ue nel 2009):
- Belgio
- Francia (con i suoi dipartimenti d’oltre mare e la stessa Algeria, certo mediterranea ma non autonoma ed “europea” in quanto ancora allora possedimento della Francia e di cui all’art 227[2] del Trattato di Roma del 1957 costituente la Cee)
- Germania (Ovest)
- Italia
- Lussemburgo
- Paesi Bassi
e la mappa rende esplicito il senso delle mie parole.
Venuto meno il ruolo “atipico” dell’Algeria nel 1962, la Francia perdette ulteriormente (andiamo per logica) un interesse diretto nel Mediterraneo.
I passi successivi portano all’allargamento dei confini che, comunque, ovviamente e “giustamente” muovono dal cuore geografico europeo (core) e, quindi, continentale, e portano all’ingresso di Grecia da un lato e dall’altro Spagna ( e, di conseguenza dei territori costieri spagnoli, ossia le città spagnole di Ceuta e Milla, in pieno territorio geograficamente africano e relative problematiche circa l’immigrazione e dove, questa volta, L’Ue fa da baluardo ai diritti umani[3]). Ma il peso demografico, di popolazione (che vuol dire seggi nel Parlamento europeo), Pil nazionali e livelli di industrializzazione/servizi (senza fare classifiche troppo spicce, un Regno Unito ha un peso specifico, una massa a maggior forza d’attrazione rispetto alle formali parità di dignità tra paesi), tutti questi elementi hanno portato a una concentrazione di interessi e flussi (economici) più alla olandese Rotterdam che a Genova o al Pireo, più a Londra che a Madrid ed Atene messe assieme.
In più: i “piccoli” atlantici o nordici (due per tutti: Olanda e Finlandia, e ora Lettonia e Lituania) hanno fatto del rigore e della loro produttività individuale (aspetti macro e microeconomici) un unico forte elemento ulteriormente a maggior forza attrattiva rispetto a quelli che – e veniamo al punto – sono diventati i “paesi periferici” dell’Ue, con tutte le loro problematiche pubbliche e private.
I paesi periferici dell’Ue. La perifericità mediterranea
Se prima i paesi europei poco virtuosi raccolti nell’acronimo PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna), ossia i paesi periferici (notare anche su un piano semantico la nozione di “periferico” è davvero spazio-geografica) contavano nell’Atlantico l’Irlanda e il Portogallo, con il tempo all’Irlanda, recuperata (?) agli onori del mercato e delle agenzie di rating e quindi uscita dalla lista Pigs, si sostituisce un altro paese: l’acronimo ha mantenuto comunque la lettera I grazie… all’ Italia e al suo indebolimento di immagine oltre che economico. Italia pur sempre paese core su un piano storico, demografico e politico ma ora, rispetto al concetto di periferico in senso economico o di paesi core, mi permetto di introdurre un “nuovo” concetto di perificità, soprattutto alla luce dell’ingresso di paesi ex Patto di Varsavia, in particolare il blocco baltico e la Polonia, i cui pesi demografici e la rilevanza strategica di posizione ne hanno fatto un nuovo polo di estrema attenzione e interesso in seno all’Ue medesima ma anche alla Nato.
Come G P El Cid io e le mie opinioni contiamo giustamente poco su un piano di tassonomie geopolitiche e attendibilità dottrinale, ma come cittadino europeo e italiano che ha spesso motivo di visitare l’area baltico-polacca e anche dai loro confini ad uscire verso est-nordest, mi è fuori da ogni dubbio il rilevare come certe situazioni acquisite con l’ingresso anche di questi paesi abbia enfatizzato il ruolo del confine geografico di alta tensione Ue-Russia[4] e il rilevare come una forte valenza politica anche nell’Ue, almeno a livello di relazioni e rapporti di forza, sia stata determinata dall’ingresso di questi paesi nella Nato. A Vilnius, per citarne uno, ben “qualificata” è la presenza degli uffici Nato.
Se la Grecia è il paese con un rapporto spese per la difesa/reddito nazionale che per dimensioni è secondo nell’Ue [5], è pur vero che è un paese strategico militarmente nel Mediterraneo ma molto meno interessante per le geopolitiche atlantiche del momento, senza voler indagare poi di quanto sia poi utile o efficiente tale spesa. Il nodo è che se la Grecia si fa difesa “da sé” e destina copiose risorse come committente fin troppo generoso anche per dare più o meno keynesianamente lavoro pubblico, senza andare in questi dettagli, rimane il fatto che per Polonia, blocco baltico o blocco centro-est dell’Ue sia la Nato e sia in particolare direttamente gli Stati Uniti sono pronte a dispiegare in rinforzo, per tutela della integrità di questi paesi, truppe e tecnologie ad alto valore la cui massa economica soverchia la pur forte spesa pubblico/reddito nazionale della Grecia.
Risulta anche alle cronache ed evidente come anche sul tavolo di Bruxelles le legittime paure di quegli stati siano spesso occasione di attento dialogo e colloqui tra i responsabili politici nazionali e l’Ue e sempre in stretto contatto con il Segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen e suo staff, e che questi colloqui, complice l’interesse non solo europeo nell’ambito, siano geopolitcamente situazioni più allarmanti del caso Grecia, il cui impatto è comunque “solo” (virgoletto bene bene) economico. Non a caso Alexis Tsipras ha da tempo intavolato ben pubblicizzati incontri con la Russia medesima (il pericolo numero uno per i paesi succitati e la Nato), il mondo arabo e la Cina[6].
Detto diversamente e in breve: la Grecia è diventata un paese periferico anche, sottolineo anche, per la sua distanza dagli scenari di massima tensione geopolitica che sono ora core, ossia il confine Russo e le relazioni Usa-Ue. La Grecia, nel Mediterraneo, al vaglio delle strategie più europeo-atlantiche, ha perso il ruolo di riferimento e di considerazione come doppia cerniera che le era proprio: da una parte con il Vicino oriente, grazie al peso col tempo assunto dalla Turchia (sua “avversaria storica”), dall’altra parte con l’Africa, diventando strategicamente irrilevante salvo essere molto rilevante, invece, per gli scafisti e le ondate migratorie proprio da Vicino oriente e Africa.
Una periferia che, quindi , sembrerebbe confermata dalla posizione geografica, dall’essere nel Mediterraneo e in quanto il Mediterraneo non suscita allarmismi e preoccupazioni atlantiche pari agli altri scenari.
Ed ecco arrivare, dunque, all’Italia. Definiamo questa periferia europea di tipo geografico ma in concreto una periferia mediterranea. Non mi dilungo nella giustificazione del senso di tale affermazione riferita all’Italia: vale la risposta politica e pratica dell’Ue in tema degli sbarchi sulle nostre coste e l’atteggiamento figlio di un’ottica strabica da parte dell’Ue medesima, dopo che, se ne può discutere quanto si vuole, la decisione di detronizzare il governo libico di Mu’ammar Gheddafi è stata fortemente caldeggiata da un asse Usa-Regno Unito-Francia segnatamente atlantico (evidentemente non una scelta dell’Ue, per niente una scelta europea… ) che ha condizionato e probabilmente forzato le scelte degli altri partner come l’Italia. Quella stessa Italia, in quel momento, era periferica anche su un piano non solo decisionale ma operativo, eppur così vicina e immersa nel Mediterraneo. Questa perifericità operativa, aldià delle dichiarazioni di facciata, è stata accolta con ampio sollievo politico bipartisan di maggioranza e opposizione in Italia, entrambe politicamente non certo allineate al pensiero forte e decisionista dell’asse Usa-Regno Unito-Francia. A cose probabilmente già decise, l’Italia si è trovata geopoliticamente periferica per questioni geopolitiche: il Mediterraneo ha un ruolo periferico nella mappa dei centri di decisione e ritorna ad avere un ruolo di peso se e quando logiche più atlantiche sono convergenti nell’agire nell’area e con un agire che è comunque autosufficiente.
Il resto dell’Europa mediterranea alla fine è una realtà che abbraccia Spagna e la parte sud della Francia, e tolto di Barcellona o il Pireo o Marsiglia non conta centri o distretti politico economici che interessino su scala globale.
L’Ue, con l’allargamento dei suoi confini e con i mutati scenari di influenza, ha avuto così occasione di enfatizzare il ruolo di virtuosità nordica e di impreparazione del sud, laddove questo sud, geograficamente è il Mediterraneo.
I paesi periferici di oggi nell’Ue lo sono (anche ma soprattutto) per questioni geopolitiche individuate a tavolino collocato, in ambito di spazio o strategia, ben lontano dal centro decisionale europeo, persin sfumando in una sorta di ancor più svilente perifericità geografica dell’Ue nel suo complesso.
La perifericità del confine di mare del sud dell’Ue ha trovato la paternità del minor interesse politico internazionale soprattutto degli Usa e la maternità di una crisi economica in un’area che di per sé ha perso valore per ragioni, come detto, macroeconomiche e microeconomiche, per inefficienze dei sistemi pubblici e anche privati, con una costante di bacchettate – giuste, per carità – proveniente dalle direttrici nord verso sud (dell’Ue) ed ovest (ossia l’atlantico) verso est ossia il Mediterraneo.
Chiamiamola, in defininitava, perifericità mediterranea.
Conclusioni. L’Unione europea come Europa atlantica
Questo per l’Ue è un problema ontologico-geografico-storico, cioè di suo collocamento fisico-spaziale, prima che relativo al fatto in questione del ruolo poco amichevole della Francia in tema di immigrati e della scarsa solidarietà sfociante addirittura in contestazioni sulle capacità di gestione da parte dell’Italia (e della Grecia e, in senso opposto per l’eccesso “interventista” della Spagna). L’ Unione europea nasce già un po’ zoppa “semanticamente”: su un piano di geografia fisica e politica non è tutta l’Europa, ma solo una buona parte, e l’elemento unità nella locuzione Unione europea è più programmatico che reale e non lo si scopre oggi. Il nodo attuale è che la Francia si scorda nuovamente ma più marcatamente di essere mediterranea, perché il suo stesso litorale mediterraneo è da lei considerato, geopoliticamente, più come elemento di difesa che di apertura, di protezione o svago turistico per la Francia nel suo complesso piuttosto che di luogo di apertura ai traffici: più una finestra che un portone.
Si tratta, tirando le somme, non di Ue ma di Ea = Europa atlantica: titanica e muscolare nelle scelte geopolitiche sull’asse Usa-Regno Unito-Francia e il nucleo d’elite o core alla cui testa c’è la virtuosa Germania con il blocco centro-nordico dell’Ue; minuscola, di contro, nelle sue politiche mediterranee nonostante le pur apprezzabili intenzioni e poco spostando il peso il recente ingresso della Croazia. I vari piani o progetti europei sviluppati specificatamente per il Mediterraneo o quando, se generali, declinati per il Mediterraneo hanno una destinazione di risorse che parla da sola.
In conclusione, sottoposta a uno stress test di natura politica da più parti, l’Ue si sta rivelando in concreto una vera e propria Europa atlantica, una Ua, che procede verso l’essere ben distinta geograficamente, su un piano fisico-orografico e su un piano socio-economico, da ciò che è nel o del o dal Mediterraneo.
[1] http://europa.eu/about-eu/eu-history/index_it.htm
[2] https://it.wikisource.org/wiki/Trattato_che_istituisce_la_Comunit%C3%A0_economica_europea_-_Trattato,_Roma,_25_marzo_1957/Trattato
[3] Fonte ANSA « (ANSA) – BRUXELLES, 1 APR – “La Commissione Ue prende nota della legge recentemente adottata dalla Spagna, e valuterà con attenzione la sua compatibilità con la normativa comunitaria e come sarà attuata”, così il portavoce della Commissione europea sull’entrata in vigore della legge sugli stranieri in Spagna, che introduce ‘il rifiuto alla frontiera’.
“La Commissione Ue è attualmente impegnata in un dialogo con la Spagna per affrontare la situazione a Ceuta e Melilla”, spiega il portavoce, ricordando anche che il commissario Ue all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos sta pianificando di andare a breve in Spagna.
“Qualsiasi misura decisa da uno Stato membro per gestire le proprie frontiere e per affrontare i flussi migratori deve essere pienamente in linea con le leggi europee e gli obblighi internazionali – si evidenzia – incluso il rispetto dei diritti umani dei migranti, ed il rispetto di non respingimento nel caso di persone che hanno bisogno di protezione internazionale”. »(ANSA). In http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2015/04/01/immigrazione-ue-dialogo-con-spagna-su-ceuta-e-melilla_ca523611-c955-4778-ba22-b43f929ab0b0.html
[4] Gli embarghi, infatti, hanno nel tempo perso la forte connotazione e incidenza geograficamente collimante con i confini del paese sotto embargo perché non influenzano solo i prodotti tangibili e servizi comunque erogati da situazioni nazionali precise, ma investono, ad esempio, conti offshore o posizioni di interesse economico (spesso allocate in luoghi di complessa riconducibilità a qeusto o quello stato) e posizioni soggettive in una economia ormai fortemente dematerializzata (si vedano le varie black list come ormai incidano – di fatto ora e non che prima non fosse teoricamente così – non tanto su un luoghi target abbastanza circoscritti ma su un soggetto-target-nazionale ossia meno sullo stato geograficamente determinato ma sui suoi cittadini ovunque abbiano interessi)
[5] Si veda di oggi 17 giugno 2015 , fonte Reuters «Grecia, esistono condizioni tecniche per accordo – Dombrovskis 17/06/2015 13:46 – RSF Bruxelles, 17 giugno (Reuters) – Le condizioni tecniche per un accordo tra Grecia e creditori esistono, ma ciò che occorre e la volontà politica ad Atene. Lo ha detto il vicepresidente della Commissione Vladis Dombrovskis [ … ]. Dombrovskis ha poi sottolineato che la spesa per la difesa della Grecia è la seconda per dimensione nell’Ue in rapporto al reddito nazionale, suggerendo che questa potrebbe essere un’area dove valutare eventuali nuovi tagli.», in http://it.reuters.com/article/topNews/idITKBN0OX1CJ20150617
[6] Per un possibile approfondimento si veda di G P El Cid “Crisi greca: dal piano B e al piano C come Cina. La Cina nel caso Grecia. E se…” https://www.saidinitaly.it/crisi-greca-dal-piano-b-e-al-piano-c-come-cina-la-cina-nel-caso-grecia-e-se/#_