La pasta ripiena Signor Agnolotto

La pasta ripiena Signor Agnolotto

La pasta ripiena Signor Agnolotto

Primo piatto tipico della tradizione piemontese è il signor “Agnolotto”, ma, prima di parlare dell’ Agnolotto, la nostra tipica pasta ripiena bisogna scoprire le origini del suo antenato: il Raviolo.

Il nome con il quale si fa per la prima volta riferimento alla pasta ripiena, è “raviolo”; alcuni ricercatori storici ritengono, ma senza fondamenti concreti, che una forma di pasta ripiena simile all’attuale agnolotto, fosse nota agli arabi prima dell’anno mille e ancor prima ai romani.

Sta di fatto che la prima citazione dei ravioli risale al 1182 d.C., quando in un contratto, un fittavolo di Albenga si impegnava a fornire al suo padrone, in occasione della vendemmia, un pasto a base di ravioli.

Altre citazioni storiche certe risalgono al 1200 d.C. ; nel 1242 d.C si trovano citate nel cremonese le “Rabule”, con riferimento ad una pasta ripiena, mentre nel 1284 d. C. fra Salimbene da Parma in un suo manoscritto “Cronica” cita il “raviolus”, dicendo di averlo mangiato recentemente per la prima volta senza pasta, suggerendo così che ne aveva mangiati altre volte nella forma più nota.

Più autorevole è una citazione del Boccaccio, che nel 1300 scriveva nel “Decamerone” parlando del Paese di Cuccagna: “… Stava genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi…”.

L’origine così varia delle citazioni, ci fa comprendere come nel XIII secolo d. C. la pasta ripiena fosse già stata esportata in varie località d’Italia grazie anche agli scambi in occasione delle fiere. Ad esempio numerose fiere si trovano già nel 1200 a Gavi, in provincia di Alessandria, luogo più titolato a rappresentare la città natia dei ravioli. A Gavi alcuni storici, tra cui Cornelio Desimoni, fanno risalire nel 1200 d. C. l’origine della famiglia Raviolo, presente nei marchesati di Gavi e Parodi. Questa famiglia era dedita alla ristorazione, erano osti e sembrerebbe che proprio i Raviolo per primi abbiano immortalato in alcune loro ricette la pasta ripiena che da allora prese il loro stesso nome. Della casata dei Raviolo si ricorda che nei primi anni del 1300 d.C. alcuni suoi membri si trasferirono a Genova, che in quel periodo aveva acquisito Gavi, dove ricoprirono alte posizioni nobiliari scegliendo, come arma, una forma di raviolo sormontata da tre stelle per non rivelare l’umiltà delle proprie origini. Umiltà decisamente nascosta e ripudiata nel 1528 quando cambiarono il loro cognome da “Raviolo” a “Gavi”.

Le fonti si fanno sempre più numerose a partire dal 1400 d.C., oltre di “guanti o ravioli”, si parla anche di “tortelli” , forma etimologica che esprimerà le tipologie di pasta ripiena derivanti dal raviolo diffusasi in Emilia e Lombardia.

Andando avanti con gli anni, nel 1800 d.C., troviamo i ravioli anche in Provenza e altre fonti ci spiegano la loro esportazione anche nell’Europa occidentale e nelle Americhe.

L’origine del raviolo si può dunque attribuire al Piemonte, nell’ambito dell’attuale provincia di Alessandria e ad avvalorare ulteriormente questa tesi è un’altra citazione importante del 1600 d.C. del gesuita genovese Paolo Oliva che ricorda come il raviolo provenga da Gavi, città natia dell’omonima famiglia.

Ed eccoci finalmente giunti all’origine del nostro agnolotto e alla sua etimologia.

Il nostro “agnolotto” oggi malamente usato come sinonimo di raviolo, nasce da una variante del suo antenato.

La terminologia potrebbe farci pensare che la preparazione del suo ripieno molto probabilmente avveniva con carne di agnello, da cui agnellotto e poi agnolotto.

E’ di facile intuizione però che la carne in epoca medioevale fosse un alimento troppo prezioso da utilizzare in un ripieno anche per una città ricca come Gavi.

Con il passare degli anni, gli agnolotti furono sempre più intesi come pasta dal ripieno di carne, tale concezione dell’agnolotto non è del tutto sbagliata anche se l’uso della carne è da ritenersi accessorio.

Il suo ripieno è frutto dell’intento parsimonioso di reimpiego di tutti gli avanzi della dispensa.

Una leggenda, infatti, narra che il Signore di un castello monferrino, posto sotto assedio ormai da molti giorni, ordinò al suo servo di preparargli un pranzo sontuoso nonostante i viveri mancassero. Il servo si chiamava Angelot, per non perdere la testa decise di recuperare tutti gli avanzi della dispensa e metterli all’interno di un involucro di pasta. Tale piatto piacque moltissimo al suo Signore, che lo chiamo “ il piatto di Angelot” poi passato negli anni a “agnulot” fino al nostro agnolotto.

Il Goria nel suo libro “L’agnolotto è re” ricorda che la loro forma arcaica in Piemonte era rotonda (dal torinese anulòt, che era il ferro adoperato una volta per tagliarli a forma di anello), poi mutata in un grosso agnolotto quadrato, tagliato con la rotella a mano e chiamato dalla gente il gobbo (gheub), mentre la denominazione del piccolo formato leggiadro dato con la punta delle dita e somigliante ad un cappelletto emiliano, di raviolo con il plin risulta molto più moderna e “ristorantiera”

Ed ecco ora la ricetta degli agnolotti della zona del basso monferrato, quelli della mia nonna materna “imbastarditi” da quella di mio nonno paterno (questa che vi scrivo è solo una delle tante versioni che possono variare da paese a paese e addirittura da famiglia a famiglia. Vengono usati i cavoli al posto degli spinaci, il riso, il pangrattato, l’uovo, la noce moscata e tutto serve per dare quel gusto caratteristico di chi li prepara).

Per la Pasta: 10 uova, 1 kg di farina, olio extravergine di oliva (per l’elasticità), un pizzico di sale

Per il ripieno: arrosto di vitello, coniglio arrosto, salame cotto e spinaci.

Su una spianatoia (dopo aver disinfettato le uova con acqua e aceto) si versa la farina e ci si fa un buco al centro in cui vengono posate le uova, il sale e l’olio. Con una forchetta si incorporano le uova alla farina fino ad ottenere un impasto morbido.

Più l’impasto è morbido, più la pasta viene sottile e il gusto del ripieno la fa da padrone.

A parte si fa arrostire la carne che a cottura ultimata viene mescolata col salame e il tutto viene tritato e corretto di sale. (Non tritate troppo finemente perché i vari ingredienti non devono risultare impastati; ogni singolo agnolotto ha un suo determinato gusto ed è ciò che li distingue da quelli comprati in pastificio o al supermercato).

Per ottenere un equilibro, è meglio usare una quantità minore di coniglio e salame rispetto al vitello.

La quantità di spinaci (meglio se freschi, ma prima assaggiateli che non siano amari.. Quelli congelati difficilmente sono amari ma hanno un gusto meno caratteristico) va a discrezione.

Si stende la pasta col mattarello, con la macchina per la pasta o come meglio si ritiene; si mette una bella cucchiaiata di ripieno e si ricopre il tutto con un altro foglio di pasta.

Si tagliano poi con la rotella di forma quadrata e si buttano 7/8 minuti in acqua bollente salata.

Si scolano e si condiscono solo con un burro e sugo d’arrosto o come faceva mio nonno paterno con la passata di pomodoro fatta in casa: ciotola, strato di agnolotti, strato di passata, strato di agnolotti, strato di passata e chi poteva permetterselo una bella grattugiata di parmigiano.

Ma questi agnolotti fatti in casa sono deliziosi anche senza condimento, gustati al “tovagliolo” .

E ora un buon Ratappetito!!

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