La storia delle parole: esodati

Scriveva Giulio Nascimbeni, già nel 1992, all’interno della sua rubrica “In altre parole”, Corriere della Sera:

Debbo al dottor Adriano Agostini di Milano una preziosa segnalazione. Sulla “Gazzetta Ufficiale” del 2 aprile scorso e’ stato pubblicato un decreto firmato dal ministro del Lavoro Marini (a quell’ epoca il titolare del dicastero era lui). Il decreto riguardava, cito testualmente, il “versamento al Fondo di previdenza autoferrotranvieri dell’importo del valore tecnico delle mensilita’ di pensione del personale esodato ai sensi dell’ art. 3 della legge 12 luglio 1988, n. 270”.
Esodato? Il participio passato di un verbo esodare che nessun dizionario, ne’ grande ne’ piccolo, ha finora registrato? Proprio cosi’: la “Gazzetta Ufficiale”, del resto, e’ una miniera inestinguibile di obbrobri linguistici. E tanto per dimostrare subito come questa affermazione non possa essere smentita, nella stessa frase di esodato compare una fastidiosa, soffocante cinquina di preposizioni una addossata all’altra: “dell’importo, del valore tecnico delle mensilita’ di pensione del personale”. In questi casi, diceva Leo Longanesi, e’ lecito pensare al suicidio.
Ma Longanesi era l’uomo che, in una pagina di diario del 1941 (la si trova nel libro Parliamo dell’ elefante), scriveva: “Trascorsa la mattina a lottare con un che e un la quale”. Simili, e secondo me benemerite, attenzioni non rientrano negli interessi di coloro che manovrano il linguaggio burocratico, preoccupati soltanto di coniare e d’ imporre enigmatici orrori come “attergare”, “permessare” e “affaccio” (nel senso della vista che si gode da un lato della casa). Torniamo a esodato. Un destino di crudele decadenza incombe sulla parola da cui esodato in qualche modo deriva: l’Esodo, come sappiamo, e’ il secondo libro dell’ Antico Testamento, che contiene la storia dell’ uscita degli Ebrei dall’ Egitto sotto la guida di Mose’ . Ma l’esodo (con l’iniziale minuscola) e’ anche il nome con cui si indica l’ ultimo canto del coro nella tragedia greca. Con il passare del tempo, l’origine biblica e il nobile significato letterario sono stati assorbiti in una parola che esprime, per estensione, “partenza da un luogo di un gran numero di persone”. Non si pensi, a questo punto, soltanto alle cronache attuali che parlano dell’ esodo di ferragosto o pasquale o legato a qualche “ponte”.

Gia’ in Gabriele D’ Annunzio si trova “l’esodo dalla citta’ “, in Alfredo Panzini “l’ esodo dei bagnanti” e in Grazia Deledda “l’esodo dei servi pastori”.
C’e’ da aggiungere che “esodo” e’ tornato a vele spiegate nelle affannose notizie economiche di queste durissime settimane a significare (“esodo di capitali”) il fenomeno della fuga di denaro all’ estero. E per completare le informazioni e’ il caso di ricordare che “esodo” e’ il nome di un “tubo elettronico a sei elettrodi”. Ma niente, nessuna decadenza, nessun uso piu’ o meno accettabile, equivale all’ abisso di esodato. Il mio timore e’ che, come quasi sempre accade con i disonori della nostra lingua, esodato trovi qualche seguace e io stesso possa diventare responsabile, con questa rubrica, della sua diffusione.

Spero che manchi il coraggio di scrivere o di dire che i nostri emigranti sono “italiani esodati”. E anche se so di essere ricorso altre volte a queste citazioni, voglio ricordare le condanne che, nei confronti del burocratese, furono inflitte in altri secoli. Nel ‘ 500 Benedetto Varchi parlava di “lingua ladresca” e ai primi dell’ Ottocento Vincenzo Monti di “penne sciaguratissime”. Niente e’ cambiato. L’ unico aggiornamento possibile, tenendo conto delle macchine per scrivere e dei computer, sta in questa variante: “tasti sciaguratissimi”.

Potete trovare l’articolo qui: http://archiviostorico.corriere.it/1992/settembre/25/burocrazia_creo_gli_esodati_co_0_92092516098.shtml

Zarbock
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