La storia delle parole – i limiti della ricerca etimologica

Brano molto istruttivo tratto dal “Dizionario enciclopedico delle lingue dell’uomo“, di Michel Malherbe; Mondadori DOC, 2007.

Più ci si addentra in una ricerca etimologica, più aumenta l’incertezza: calamaro deriva da “(pesce) calamaio” (a causa della sua capacità di emettere un liquido nero), termine che viene dal latino calamus, “stelo”, “canna”, da cui deriva anche “calumet”.
Calamus a sua volta discende dal greco kalamos, parente dell’arabo qalam, che pure significa “stelo”, poi, per estensione, “penna per scrivere”. Kalam si ritrova con quest’ultimo senso in turco e in hindi.

Si può quindi pensare che l’introduzione di kalam in queste due lingue sia tardiva, altrimenti avrebbe conservato anche il senso di “stelo”. Tuttavia la radice è antica nelle lingue europee poiché è presente in tedesco sotto la forma Halm, e in russo soloma, che significano ambedue “paglia”.
Se l’hindi, vicino al sanscrito, non ha il senso originale, si può presumere che la parola sia di origine araba e non indoeuropea. Ma è araba o trasmessa attraverso l’arabo a partire dall’egiziano?

In realtà, risalendo piuttosto lontano nel tempo, ci si scontrerà sempre con l’impossibilità di trovare una spiegazione, benché i linguisti abbiano cercato, al di là delle tracce scritte, di “ricostruire” etimologie ipotetiche comuni paragonando lingue parenti. In ogni caso, tali “ricostruzioni” rimangono artificiali.

Traduzione di Savino D’amico con Paolo Frassi, Daniela Nicolò e Luciano Revelli; virgolettati originali.

Sono d’accordo: le parole vengono usate per riferirsi a concetti: sono dei puntatori, l’estremità visibile di un iceberg che rimane altrimenti inespresso da chi sta comunicando. E l’insieme delle idee implicite forma una cultura. Più si risale nel tempo, meno possibilità abbiamo di cogliere le trame e l’ordito di un sapere.

Zarbock
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