La storia delle parole: perplimere

Il verbo “perplimere” non esiste. Se ne trova traccia solamente in due forme: “essere perplesso” (declinato in sesso e numero: perplessa, perplessi…) oppure “rendere perplesso“. Il resto della coniugazione non esiste.
Tuttavia non è raro, al giorno d’oggi, sentire frasi come “quel che mi perplime è che…“.

Avanzi” è stato un programma televisivo satirico andato in onda sul canale Rai Tre dal 1991 al 1993; l’idea del programma era di fingersi un contenitore per tutti gli scarti della televisione italiana: come recita Wikipedia, raccoglieva “personaggi tv rimasti senza ingaggio, pubblicità rifiutate dalla committenza e servizi giornalistici censurati e dunque mai messi in onda“.

Il comico Corrado Guzzanti
Il comico Corrado Guzzanti

Tra tutti questi avanzi figurava anche Rokko Smitherson, regista romano di “filmaggi de’ paura” interpretato da Corrado Guzzanti. Scrive l’Accademia della Crusca:

L’impiego del verbo perplimere è dovuto alla prosa creativa del comico Corrado Guzzanti, che lo ha lanciato nei primissimi anni Novanta, nella trasmissione televisiva “Avanzi”. La parola venne inserita in uno dei dialoghi fra il personaggio Rokko Smitherson e Serena Dandini, ed ebbe talmente successo che fu più volte riutilizzata nella trasmissione, con ricchi esempi nella coniugazione (perplimere, perplimo, perplimete, perplèi, perplime[re]) e nelle varianti (perplerre).
Molte furono le parole inventate da Rokko Smitherson (regista romano di “filmaggi de’ paura”), un personaggio che basava la sua comicità satirica proprio sui giochi di parole e su neoconiazioni allusive (sospensionismo, su astensionismo; antiproibizionale, su antiproibizionista; sopravvolare, su sorvolare; cartone animale, su cartone animato; psicoanale, su psicoanalista; ecc.).

Fra le molte innovazioni linguistiche perplimere attecchì più facilmente nella lingua comune a causa della sua perfetta adeguatezza morfologica, che tra l’altro colma anche una lacuna lessicale della nostra lingua: il verbo è infatti spontaneamente riconducibile dai parlanti italiani al participio passato perplesso (sulla base di verbi come comprimere / compresso; sopprimere / soppresso, ecc.); e del resto manca in italiano un verbo che renda in modo sintetico l’azione dell’essere o del rendere perplessi, per cui il neologismo si incunea perfettamente nel nostro sistema linguistico.

 

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