Leonardo Sciascia: l’eretico intellettuale

Manca meno di un mese (20 Novembre) al ricordo del ventiseiesimo anniversario della morte di Leonardo Sciascia e, come diceva Marilyn Monroe nel film “A qualcuno piace caldo”, “Un quarto di secolo… ti dà da pensare” (o poco più di un quarto di secolo): è vero, ti dà da pensare a come le generazioni siano cambiate rispetto a venticinque anni fa, a quando la distanza mentale tra le persone era breve perché tutti combattevano per gli stessi ideali, ovvero la lenta trasmissione della memoria, memoria del passato che, alle generazioni odierne, basta cancellare o azzerare per renderla inesistente. Sciascia era una di quelle persone che non aveva paura di parlare, confrontarsi, uno di quei personaggi che non aveva paura di pronunciare la parola MAFIA. Per comprendere la mafia, bisognava studiare ciò che era sotteso ad essa, non soltanto i fatti apparenti ed esprimendo dubbi e perplessità sull’operato delle Istituzioni in merito alla risoluzione del problema. Se parliamo di questo scrittore, la prima parola che mi viene in mente è “dualismo”, sempre diviso a metà tra l’ansia di conoscere e dare un senso di giustizia alla sua terra (la Sicilia) e l’idea dell’umorismo di matrice pirandelliana; pessimismo ed ottimismo dunque, che si fondono in un’unica persona. E, per citare Pirandello, suo grande mentore, (oltre alla formazione illuminista con Stendhal, Voltaire ed altri) Leonardo Sciascia può ricoprire a pieno il ruolo del romanzo Uno, Nessuno e Centomila: fu dapprima insegnante elementare, poi politico, ma anche saggista, scrittore, giornalista.

“Non c’è nulla che mi infastidisca quanto l’essere considerato un esperto di mafia o, come si usa dire, un “mafiologo”. Sono semplicemente uno che è nato, è vissuto e vive in un paese della Sicilia occidentale e ha sempre cercato di capire la realtà che lo circonda, gli avvenimenti, le persone. Sono un esperto di mafia così come lo sono in fatto di agricoltura, di emigrazione, di tradizioni popolari, di zolfare.” La parola chiave di questo estratto dell’articolo scritto per il quotidiano Il Corriere della Sera (19 Settembre 1982, p.41) è Recalmuto, paesino in provincia di Agrigento dove lo scrittore nacque nel 1921. Come ogni buon siciliano, è attaccato alle sue radici, vuol curarle, vuol difenderle; non a caso, pur non avendo la bellezza di altri centri dell’isola, tanto basta a far sì che questo piccolo paese di novemila abitanti attragga come una calamita: è qui che nasce l’idea per uno dei  romanzi più famosi, Il Giorno della Civetta, scritto nel 1961. E’ una delle opere di denuncia e di lotta alla mafia più forte che si sia mai letta; prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto (l’omicidio del sindacalista comunista Accursio Miraglia, ucciso dalla mafia nel 1947), dando nomi diversi ai protagonisti ma utilizzando la tipologia del romanzo giallo, espediente che utilizzerà anche nelle opere successive, da A Ciascuno il suo, a Todo Modo, a Una Storia Semplice. E qui emerge anche un altro aspetto della figura dello scrittore: quella del politico. Ha militato nel Partito Comunista per qualche anno, passando poi al Partito Radicale, ha fatto parte di alcune commissioni parlamentari di inchiesta sulla mafia (tra le quali quella sull’assassinio di Aldo Moro) ma anche qui, scontrandosi con il partito ed i suoi modi di fare, decise che la politica non avrebbe fatto per lui, poiché i dissidi con la Chiesa dell’epoca, lo portarono ad autodefinirsi, durante un comizio, un “eretico”: stranamente, nonostante gli aspri scontri con il Pci, il partito era ben felice di ospitare tra le sue fila un personaggio che ammetteva: “Sono orgoglioso di essere di sinistra senza sfumature”.

Attualmente a Recalmuto è presente una Fondazione che raccoglie le migliaia di corrispondenze che intratteneva con intellettuali, artisti, scrittori, politici e uomini di cultura, una collezione di oltre duecento ritratti, acqueforti, disegni e dipinti, donati dallo stesso Leonardo ed, ancora, una mostra fotografica permanente di Sellerio, Scianna ed Henry Bresson. Ma vi è un insieme di luoghi che lo collegano alla sua sicilianità: il teatro Margherita, dove lui da bambino andava a vedere il cinema il sabato e la domenica; il Circolo degli Zolfatai e dei Salinai al quale era molto affezionato e le Grotte di Frà Diego La Matina, che lo ispirarono per le vicende de “La Morte dell’Inquisitore”, in cui si narra di un diacono (Diego La Matina, nato nel Seicento a Racalmuto) che viene arrestato dalla polizia per un crimine e che, fuggendo dal carcere di Palazzo Steri di Palermo, si rifugia proprio in queste grotte; la sua libertà ha presto fine perché, trovato dalla polizia e riportato in carcere uccide, con le manette di ferro che gli serravano i polsi, l’inquisitore Don Giovanni Lopez de Cisneros. L’opera si conclude con Frà Diego arso sul rogo e le sue ceneri disperse al vento.

Leonardo Sciascia morì a Palermo il 20 Gennaio del 1989 ma potete sempre incontrarlo lì, sul corso principale mentre cammina nel suo paesino, incarnato nella sua bella statua di bronzo… eternamente intento a fumare la sua sigaretta.