Lingua e malapropismi: quando i nodi vengono “a galla”

[di Annalisa Cassarino]

Nel 1775 Richard Brinsley Sheridan pubblica una commedia in cinque atti dal titolo “The rivals”. L’opera in questione è passata alla storia per la presenza di un personaggio, Mistriss Malaprop, da cui deriva la definizione linguistica (in senso stretto) di malapropismo.

Per malapropismo si intente la “sostituzione di una parola con un’altra, avente un suono simile ma di significato completamente diverso”[1].

Malaprop ha, infatti, l’abitudine di utilizzare dei termini errati per il contesto linguistico di riferimento ma che, per assonanza (quindi per similitudine sonora), richiamano i termini appropriati.

Per chiarire questo punto si riporta, a seguire, un estratto della commedia “I Rivali” (traduzione italiana di “The rivals”) in cui M. Malaprop espone le proprie ragioni riguardo la necessità di negare alle donne la possibilità di un’eccessiva istruzione.

Malaprop: Che qualità? Primieramente non è necessario ch’ella sia un portento per lo spirito: la troppa istruzione pregiudica al nostro sesso. Una donna deve ignorare il greco, l’ebraico, l’algebra, la simonìa, le flussioni del mare, i paradossi, e tutte le branche infiammabili della scienza astratta, e non maneggiar punto i vostri istrumenti di matematica, d’astronomia, d’idrolica, d’iperbolica, o di magnetica. Basta che all’età di nov’anni vada alla scuola per apprendere un po’ d’ingenuità e molt’arte; ch’essa vi acquisti una severa cognizione dell’arimmetica, a fine d’intendere i conti della modista, e che abbia una tintura di geometria, per essere informata dei paesi contagiosi dell’Inghilterra: ma soprattutto è indispensabile ch’ella sia ortodossa quanto si può essere in gramatica, per evitar l’inconveniente della maggior parte delle nostre signorine, che parlano senza saper quel che dicono.

La scelta di questo passo non è casuale, ma ha l’intento di stimolare in chi legge una doppia riflessione. Da una parte si noti come la lettura, o l’ascolto, di malapropismi generi una risata; dall’altra parte si noti come spesso chi fa uso di malapropismi, al di fuori di contesti intenzionali, sia destinato a perdere di credibilità, o possa essere reputato (da chi domina i registri più alti della lingua) un individuo con un basso livello d’istruzione.

È questo il caso di M. Malaprop, le cui parole producono ilarità e allegria e portano il/la lettore-lettrice/spettatore-spettatrice a pensare che siano il frutto di un’esigua preparazione ed erudizione. D’altra parte “la troppa istruzione pregiudica il nostro sesso”, afferma la stessa Malaprop.

I malapropismi, quindi, possono essere utilizzati in modo intenzionale per scopi goliardici, o possono essere generati da una “svista” linguistica, che inconsciamente porta il/la parlante a sostituire un termine meno noto (perché poco produttivo o che ricorre in pochi contesti fissi) con un termine più noto e familiare. In questo secondo caso ci si riferisce alla necessità di rendere trasparenti (quindi comprensibili) tutte quelle forme reputate “opache”, attraverso la ricerca, tra le proprie conoscenze, di parole che “suonano” simili alla struttura insolita. La sostituzione permette, infine, di fornire al costrutto un significato che in precedenza non possiede, proprio a causa dell’opacità della parola sconosciuta.

Malapropismi – Maurizio Crozza imita il sen. Antonio Razzi nel programma Crozza nel Paese delle Meraviglie (ph. La 7)

Malapropismi non intenzionali spesso vengono generati con lo scopo di semplificare elementi che risultano problematici da un punto di vista fonico o semantico

È questo il caso di:

  • Mi sono sbagliata, ho preso un lapis

e non un lapsus, parola dalla struttura fonica complessa, che il/la parlante risolve con i più diffusi lapis o raptus. il primo perché ha in comune con la forma opaca i suoni l e s; il secondo per via di ap e della terminazione us

LAPSUS

LAPIS

RAPTUS

  • Ho proprio i nervi fuor di pelle

L’uso di fuor di in luogo di a fior di si spiega con la scarsa comprensibilità dell’apporto significativo di fiore alla locuzione.

È come se il parlante si chiedesse cosa c’entra il fiore con la pelle e, non sapendo darsi una risposta, ripristinasse un elemento dotato di senso, fuori, a suo giudizio alterato senza ragione, tanto più che la locuzione nel suo complesso fa riferimento al fatto di provare un grado di irritazione così elevato da poter essere toccato, tanto è in superficie, tanto è fuor di pelle.

Per quanto riguarda a fior di (presente anche in a fior d’acqua, a fior di labbra), il legame con fiore si spiega con il senso figurato di fiore ad indicare ‘la parte superiore, quindi migliore, di una cosa’ (si pensi a il fiore dell’età).

I malapropismi prodotti, invece, intenzionalmente sono il frutto di sostituzioni linguistiche che hanno lo scopo di produrre effetti comici. Pertanto non si tratta di processi di sostituzione legati ai concetti di opacità e trasparenza linguistica. Tra questo tipo di malapropismi si ricordano:

  • Dobbiamo essere prudenti e procedere a passo d’uovo

La sostituzione qui appare meno comprensibile, perché uomo è parola del lessico fondamentale, perciò non rientra a pieno titolo nella logica “dal meno facile al più facile”. Sembrerebbe più un gioco linguistico ricercato per l’effetto comico, che un errore.

  • Ho preso il latte parzialmente stremato

Valgono le medesime considerazioni del caso precedente. Sia scremato che scremato, infatti, sono termini comuni, dell’uso. Perciò l’uso spontaneo, non voluto, può capitare nel singolo parlante, ma appare meno plausibile in un’ottica “di massa”.

Una diversa spiegazione potrebbe invece essere alla base di

  • Non potete avere la botte piena e la moglie vuota

in cui vuota è inconsciamente attivata alla stregua di un completamento automatico coerente con piena.

Ci sono poi malapropismi che più di altri corrispondono a forme che si ritrovano anche in alcune patologie del linguaggio (dislalie, hanno a che fare con i centri periferici del linguaggio, ovvero con l’apparato fonatorio, e non con i centri cerebrali, come nel caso delle afasie).

È il caso di:

  • Di questo passo arriveremo alle candele greche

modo di dire attestato fin dalla metà del Cinquecento, ottenuto per metatesi, ovvero inversione dell’ordine di due suoni o di due sillabe nella pronuncia della parola, come cimena per cinema.

Alla base del modo di dire c’è lo stesso calende che troviamo in calendario e che lì di norma non crea difficoltà, ma che da solo suona “anomalo”.

Le Calendae segnavano il primo giorno del mese nel calendario romano e la loro ricorrenza in alle calende greche per alludere a qualcosa che non arriverà mai è legata al fatto che nel calendario greco le calende non erano previste.

Altri tipi di malapropismi sono dovuti alla sostituzione per mezzo di un elemento saliente in un modo di dire di significato affine.

  • Prima o poi, tutti i nodi vengono a galla

frutto di contaminazione con la variante prima o poi la verità viene a galla, spiegabile, per l’appunto, per la corrispondenza di significato tra le due locuzioni.

Infine un caso di malapropismo accettabile.

  • Sono tornata dalle vacanze e da domani riprendo il solito tram tram

Tran, voce onomatopeica: ‘espressione imitativa del movimento lento e regolare di un veicolo, di una macchina, ecc.’ e più tardi anche ‘andamento di vita, ritmo di lavoro lento e monotono’, si alterna con tram anche nella parola tranvai/tramvai ‘mezzo di trasporto elettrico, su binari’ (così chiamato per adattamento dell’ingl. tramway car).

Di malapropismi è, quindi, piena la nostra quotidianità e, per gioco o per bonaria e innocente ignoranza, tanti/tante sono coloro che si abbandonano a sostituzioni linguistiche fantasiose e ricche di goliardia: c’è, ad esempio, chi è putrefatto dallo stupore; chi mette in mostra il proprio pallone d’Achille o il proprio tallone da killer; chi si sente l’ultima ruota del dibone; chi si rimbocca le mani e chi, invece, predica bene e spazzola male; chi fa una disanima e poi chiede una buona dilatazione di pagamento, ma alla fine non capa un ragno dal buco; chi fa da capo espiatorio e chi a caval dorato non guarda in bocca; chi lascia correre e glassa sugli argomenti; chi non ne ha la più squallida idea; chi si è rotta di soppressi e angherie e chi sprizza felicità da tutti i poli; chi sostiene di avere dolore a un reno e chi invece i reni li mette in barca; chi fa le feci di qualcun altro e chi fa il terzo incognito; chi convoglia a nozze e chi vuole essere cromato dopo la morte; chi dopo aver fatto una cernia dei libri studia da autodidattica; chi combatte le vene vanitose facendosi sottoministrare un farmaco; chi si sente fortunato perché rispetto alle scimmie ha il pollice opposto; chi chiama un’ambulanza a sirene spietate perché sa che n’evade della sua salute; chi è stanco di lavorare sempre con la spada di Adamo in testa e allora fa baracca e baracchini.

Alla luce di quanto è stato sostenuto sin qui è perciò possibile affermare che il dado è trattato: il malaproprismo sembra quasi un fenomeno che sta divagando in tutto il mondo. Senza stendere veli pelosi, spazziamo però una lancia a favore del/della parlante dicendo che tanto va la gatta al latte che ci lascia lo zampino. D’altra parte lo si sa da illore tempo che chi usa la lingua potrebbe inciampare in errori di inconscia sostituzione o, ponendosi agli antilopi, potrebbe giocare con e tramite la lingua stessa, suscitando risi e sorrisi.

 

 

[1] Treccani online.

Per maggiori informazioni consultare il seguente link: http://www.treccani.it/vocabolario/malapropismo/

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